LA CORTE DI APPELLO 
 
    Nel procedimento di revisione indicato in epigrafe nei  confronti
di Pierro Gerardo, nato a Pontecagnano  Faiano  (SA)  il  22.12.1954,
libero, contumace, difeso di fiducia  dall'avv.  Emanuela  Rossomando
del Foro di Salerno; 
 
                               Osserva 
 
    Pierro Gerardo e' stato condannato con sentenza in data  7.2.2007
dalla Corte di Appello di Salerno  che,  in  parziale  riforma  della
sentenza  del  Tribunale  di  Salerno,  sez.  dist.  di  Montecorvino
Rovella, lo riteneva responsabile dei reati di cui alla L. n, 47  del
1985, art. 20, lett. c) (capo a), art. 734 c.p. (capo b) e D.Lgs.  n.
490 del 1999, art. 163 (capo c), dichiarava non doversi procedere  in
ordine al reato di cui al capo b) perche' estinto per prescrizione  e
rideterminando la pena, per i residui reati, in mesi 2, giorni 20  di
arresto ed euro 18.000,00 di ammenda. 
    Rilevava la Corte  di  appello  di  Salerno  che  sussisteva  una
difformita' tra le opere realizzate dal condannato e  quelle  di  cui
alla concessione edilizia n. 38/98, come  emergeva  dalle  risultanze
processuali  (verbale  sequestro  e  deposizioni  testimoniali);  che
alcuna  incidenza  poteva  avere   l'autorizzazione   in   sanatoria,
rilasciata dal Comune di Pontecagnano Faiano in data  10.1.2002  che,
viceversa, confermava le contestate difformita'. 
    La Corte di Cassazione - terza sezione  penale  con  sentenza  n.
14425/2008 in data 29.2.2008 dichiarava inammissibile  il  ricorso  e
condannava PIERRO  Gerardo  al  pagamento  delle  spese  processuali,
nonche' al versamento alla cassa delle ammende della  somma  di  euro
1.000,00. 
    1- La richiesta di revisione  -  Con  istanza  depositata  il  17
settembre 2010 Pierro Gerardo, a mezzo del  difensore  e  procuratore
speciale avv. Emanuela  Rossomando,  richiedeva  la  revisione  della
predetta sentenza di condanna. 
    Esponeva,  in  particolare,  che  in  data  14.01.2009,  dopo  il
passaggio in giudicato della  sentenza  di  condanna,  a  seguito  di
incarico ricevuto  dalla  Procura  Generale,  che  doveva  provvedere
all'esecuzione dell'ordine  di  demolizione  delle  opere,  l'Ufficio
Tecnico  del  Comune  di  Pontecagnano  Faiano  aveva   eseguito   un
sopralluogo ed accertato, in punto di fatto, che -  contrariamente  a
quanto si era ritenuto  nel  giudizio  di  cognizione  -  «l'immobile
oggetto del procedimento di esecuzione e' conforme a quanto riportato
nell'autorizzazione in sanatoria rilasciata  ai  sensi  dell'art.  10
della L. 47/85, n.  22/02  del  6.6.2002  e,  pertanto,  rispetta  la
condizione sopra citata» (v. all. 1 alla richiesta di revisione). 
    A seguito del suddetto sopralluogo, il responsabile  del  Settore
Urbanistica, arch. Giovanni Landi, aveva attestato che "lo stato  dei
luoghi  coincide  con  quanto  rappresentato  nei  grafici   allegati
all'Autorizzazione in sanatoria n. 22/2002 del 6.6.2002 rilasciata ai
sensi dell'art. 10 della L. 47/85  e,  pertanto,  la  condizione  che
l'unita' immobiliare, ad ultimazione dei lavori, resti la medesima di
cui alla concessione edilizia n. 38/98,  escludendo  frazionamenti  o
divisioni di unita' Immobiliari  non  espressamente  autorizzate,  e'
rispettata" (v. all. 2 alla richiesta di revisione). 
    Nella  richiesta  di  revisione  il  condannato  Pierro   Gerardo
evidenziava che la nuova prova sopravvenuta, successiva  al  giudizio
di  cognizione  ed  avente  fede  privilegiata   -   trattandosi   di
accertamento  tecnico  svolto  da  pubblico  ufficiale  -  consisteva
nell'attestazione  che  le  opere  eseguite  in   difformita'   dalla
concessione edilizia risultavano sanate sin dal 6.6.2002, per effetto
del titolo in sanatoria sopra indicato,  con  conseguente  estinzione
dei relativi reati edilizi. 
    Pierro Gerardo rappresentava,  altresi',  che  il  giudice  della
cognizione, non disponendo  di  tale  decisivo  accertamento  tecnico
espletato sulla reale situazione dello  stato  dei  luoghi  (relativo
alla  identita'  tra  lo  stato  dei  luoghi  quale  esso  era   dopo
l'effettuazione  dei  lavori,  e  quello  rappresentato  nei  grafici
allegati all'Autorizzazione in  sanatoria  n.  22/2002  del  6.6.2002
rilasciata ai sensi dell'art. 10 della L. 47/85), era stato fuorviato
da un errore percettivo, avendo ritenuto che  la  condizione  apposta
alla sanatoria "che l'unita' immobiliare, ad ultimazione dei  lavori,
resti  la  medesima  di  cui  alla  concessione  edilizia  n.   38/98
escludendo  frazionamenti  o  divisioni  di  unita'  immobiliari  non
espressamente autorizzate", non  costituisse  una  mera  prescrizione
(peraltro  rispettata  dal  Pierro),   ma   che,   viceversa,   fosse
dimostrativa della contestata violazione edilizia. 
    Dall'esame degli atti contenuti nel  fascicolo  del  giudizio  di
cognizione,  depositati  oggi  in   copia   conforme   dalla   difesa
dell'istante, e' emerso che i  giudici  della  cognizione  avevano  a
disposizione, ed hanno effettivamente esaminato,  la  concessione  in
sanatoria rilasciata  il  6.6.2002,  nella  quale  era  espressamente
indicato  che  tutte  le  opere  contestate  come  abusive  nel  capo
d'imputazione erano  viceversa  state  espressamente  sanate  con  il
predetto provvedimento. 
    Tuttavia, nella parte finale della concessione in  sanatoria,  e'
compresa una fase, dal tenore ambiguo, se letta in  modo  avulso  dal
contesto del provvedimento, secondo cui la concessione  in  sanatoria
era subordinata alla circostanza  che  l'opera  "ad  ultimazione  dei
lavori resti la medesima di cui alla concessione n. 38/98, escludendo
frazionamenti e divisioni di  unita'  immobiliari  non  espressamente
autorizzate". 
    Di talche' i giudici della cognizione, sia in sede di merito  sia
di legittimita', hanno erroneamente inteso che con  tale  espressione
la p.a. intendesse escludere dalla sanatoria le  medesime  opere  che
nello stesso provvedimento erano invece state espressamente assentite
(peraltro, non apprezza la logica della sanatoria ex art. 10 l. 47/85
o 36 dpr 380/01 di una opera parzialmente difforme dalla concessione,
alla condizione  che  essa  sia  conforme  alla  medesima  precedente
concessione  edilizia  sulla  cui  base  la  stessa  opera  e'  stata
realizzata). 
    Risulta dunque evidente che la condanna intervenuta nel  giudizio
di cognizione si e' fondata su un errore di fatto in cui  il  giudice
della cognizione e' stato indotto dalla  contraddittoria  espressione
utilizzata nel provvedimento di sanatoria, che il  primo  giudice  ha
infatti espressamente  definito  "sibillino";  la  sanatoria  avrebbe
dovuto infatti condurre a dichiarare estinto  per  condono  il  reato
contestato al capo a). Ne' rileva la contestazione del reato sub  c),
in considerazione della ammissibilita' della revisione parziale. 
    A fronte del rilievo del PG di udienza per cui  il  provvedimento
di sanatoria  era  gia'  contenuto  nel  fascicolo  del  giudizio  di
cognizione, questa Corte non puo' che  prendere  atto  che  la  prova
nuova, assunta in sede di revisione, costituita  dalla  testimonianza
del  tecnico  comunale  circa  la   accertata   (nel   2009)   esatta
corrispondenza tra  le  opere  realizzate  a  quelle  sanate  con  la
concessione in sanatoria del 6.6.2002,  non  costituisce  una  "prova
nuova" cosi' come interpretata dal diritto vivente (considerato che i
giudici della cognizione avevano valutato, sia pur  erroneamente,  il
provvedimento recante l'espressa  sanatoria  delle  opere  contestate
come abusive), ma si  sostanzia  in  una  sorta  di  "interpretazione
autentica" del provvedimento amministrativo da parte del  funzionario
che  lo  ha  redatto,  volto  a  rimuoverne,   in   sede   di   esame
dibattimentale, il rilevato carattere di ambiguita' che aveva indotto
in errore di fatto i giudici della cognizione. 
    Tuttavia tale elemento non consente di pervenire  alla  revisione
della condanna, poiche' ai sensi dell'art. 630 cpp e  dell'art.  637,
comma 3, cpp, secondo l'interpretazione resane dal  diritto  vivente,
non e' ammessa la revisione in assenza di prova obiettivamente nuova,
ossia nemmeno implicitamente valutata dal giudice  della  cognizione,
ne' tale puo' ritenersi la mera "interpretazione autentica" resa  dal
tecnico comunale prima attraverso  la  certificazione  rilasciata  in
epoca successiva al passaggio in giudicato e poi in sede di esame nel
giudizio di revisione. 
    Ritiene  questa  Corte,  tuttavia,  che  l'interpretazione  cosi'
rigorosa data dal diritto vivente al concetto di "prova nuova"  e  la
preclusione della revisione sulla base della sola diversa valutazione
delle prove assunte nel precedente giudizio, anche allorche'  risulti
evidente che la  condanna  si  e'  fondata  su  un  errore  di  fatto
incontrovertibilmente emergente da quelle stesse prove, si  ponga  in
contrasto con l'art. 24, quarto comma, della Costituzione, poiche' si
traduce  di  fatto   nella   elisione   del   diritto   dell'imputato
ingiustamente condannato  ad  ottenere  la revisione  della  ingiusta
condanna. 
    In altri termini, la revisione  non  puo'  essere  negata,  senza
contrastare con il citato parametro costituzionale, quando emerga con
assoluta certezza, ed in  modo  del  tutto  incontrastabile,  che  la
condanna si fondo' su un errore di fatto, anche  se  emergente  dalle
sole prove gia' esaminate dal giudice della cognizione. 
    Peraltro, in considerazione dell'espressa preclusione  posta  dal
combinato disposto degli artt. 630 e  637,  terzo  comma,  cpp,  alla
revisione sulla base di tal genere di presupposti, questa  Corte  non
ha possibilita' di procedere  ad  interpretazione  costituzionalmente
orientata delle norme  qui  denunziate,  sicche'  l'alternativa  alla
conferma della condanna fondata su un errore  di  fatto  si  rinviene
esclusivamente nel ricorso alla Corte costituzionale. 
    L'istituto della revisione, del resto, trova immediato  referente
nella disposizione contenuta nell'ultimo comma dell'articolo 24 della
Costituzione che - come e'  stato  espressamente  riconosciuto  dalla
Corte costituzionale in riferimento alla disciplina posta dal  codice
abrogato - riflette il principio di giustizia sostanziale rispondente
all'"esigenza, di altissimo valore etico e  sociale,  di  assicurare,
senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia
estinta, la tutela dell'innocente, nell'ambito  della  piu'  generale
garanzia, di espresso rilievo costituzionale,  accordata  ai  diritti
inviolabili della personalita'" (Corte Cost., 14  febbraio  1969,  n.
28);